Azioni cancerogene

Azione cancerogena

L’azione cancerogena viene valutata dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro di Lione (IARC): ad oggi sono stati valutati 1013 agenti, di cui 120 a livello I (cancerogeni), 82 come 2A (cancerogeni probabili), 311 come 2B (cancerogeni possibili), 500 a livello 3 (non classificabili come cancerogeni).

Si ricorda che i tumori cerebrali sono relativamente rari e presentano importanti variazioni geografiche: da 2 casi su 100000 persone/anno in India a 10 su 100000 in USA o Svezia e altri paesi più industrializzati. Si tratta comunque di tumori in aumento in tutto il mondo: un importante lavoro pubblicato nel 2019 su Lancet Oncology ha preso in esame l’incidenza e la mortalità dei tumori del Sistema Nervoso Centrale (SNC) dal 1990 al 2016 in 195 paesi livello globale. È emerso che la percentuale di cambiamento nell’incidenza è stata mediamente del + 17,3%, ma in Italia del + 39,3.

In G.B. l’incidenza del glioblastoma multiforme è più che raddoppiata dal 1970 al 2015, con un numero assoluto di casi passato da 983 a 2531; soprattutto vi è stato l’aumento della localizzazione in sede frontale e temporale, e ciò è stato ipotizzato per l’utilizzo ipsilaterale del cellulare. 

Classificazione IARC fino al 2011

Per quanto riguarda i CEM nel range di frequenza da 30 kHz a 300 GHz, la classificazione IARC fatta nel 2011 e pubblicata nel 2013 è 2B per quanto riguarda gliomi cerebrali e neurinomi e si specifica che non riguarda esclusivamente i telefoni cellulari, ma i CEM emessi anche da altre sorgenti. 

I CEM furono classificati come 2B in base agli studi epidemiologici (15, 16) condotti da Hardell,  sull’INTERPHONE e su studi sperimentali sugli animali che davano risultati discordanti. Per quanto riguarda gli studi epidemiologici, quello di Hardell pubblicato nel 2011 aveva preso in esame 1251 casi di tumori cerebrali maligni, evidenziando un rischio quasi triplicato (OR = 2.9) per utilizzatori di cellulari prima dei 20 anni di età, e un incremento del rischio del 30% per utilizzatori da 20 a 49 anni. Si era evidenziato anche un aumentato rischio per utilizzo sempre dallo stesso orecchio (ipsilateralità) e cordless. INTERPHONE è stato il più grande studio condotto a livello internazionale, condotto con fondi in gran parte pubblici e in minor parte privati e ha riguardato 13 Paesi compreso l’Italia. Fra il 1999 e il 2004 (quando l’utilizzo del cellulare era comunque ancora piuttosto limitato) sono stati complessivamente reclutati 6.600 casi di tumori cerebrali (gliomi, meningiomi, neurinomi, tumori della parotide) e 7.800 controlli sani. Le conclusioni dello studio, a una lettura superficiale, si prestano a considerazioni rassicuranti circa l’assenza di rischi significativi, ma lo studio non è affatto negativo in quanto per le più prolungate esposizioni, specie per oltre 1640 ore complessive, si evidenzia un aumento statisticamente significativo del rischio del 40% per l’insorgenza di gliomi e del 15% di meningiomi. Specie per i gliomi la localizzazione più frequente riguarda inoltre l’area temporale, quella comunemente più esposta al cellulare rispetto ad altre aree. Al di là delle tranquillizzanti parole utilizzate nelle conclusioni dello studio circa l’assenza complessiva di rischio di tumore cerebrale, è ai numeri che bisogna guardare e i numeri viceversa indicano che per la maggiore esposizione vi è un aumento significativo di cancro al cervello, fra l’altro proprio nell’area dove più ce lo si aspetta: quella temporale, più a contatto con il cellulare. In conclusione INTERPHONE presenta dei bias, ma non è affatto negativo e dimostra la necessità di ulteriori studi; fra l’altro quelli che nell’INTERPHONE erano considerati “utilizzatori pesanti” dei dispositivi mobili, oggi sarebbero classificati come “utilizzatori leggeri”, vista l’espansione di questi dispositivi. Considerazioni analoghe si possono fare anche per il neurinoma dell’acustico, la cui incidenza risultò aumentata per una esposizione complessiva superiore a 1640 ore, tuttavia, essendo un tumore a lenta crescita, probabilmente il tempo di osservazione dall’introduzione dei cellulari non era adeguato a rilevare l’andamento complessivo del problema. La classificazione dei CEM fu quindi 2B, cancerogeni probabili, per evidenze limitate di gliomi e neurinomi nell’uomo e limitate anche negli animali. La differenza fra 2A, cancerogeni probabili e 2B, cancerogeni possibili, a livello semantico è minima, ma molto diverse sono le implicazioni che ne conseguono: nel primo caso scattano azioni di controllo, protezione e anche risarcimento, mentre nel secondo non vi sono azioni concrete conseguenti. 

 

Studi sulla cancerogenicità dopo il 2011

Negli ultimi anni sono stati condotti importanti studi sia epidemiologici che sperimentali. Per quanto riguarda i primi nel 2017 sono state pubblicate 3 metanalisi che hanno preso in esame decine di studi epidemiologici caso-controllo. Si tratta di decine di migliaia di casi (ovvero di soggetti affetti da tumori cerebrali) e ancor più controlli sani su cui è stata indagata l’esposizione a telefoni mobili. Da questa grande mole di dati è emerso che l’utilizzo del cellulare per oltre 10 anni o per un periodo superiore a 1640 ore di utilizzo, specie se ipsilaterale, comporta un incremento del rischio di tumori cerebrali di oltre il 30% nel loro complesso, e del 44% per i gliomi, la forma più aggressiva di questo gruppo di tumori. Per quanto concerne gli studi sperimentali, nel 2018 sono stati pubblicati i risultati di due ampie ricerche, una condotta negli USA a cura del National Toxicology Program che ha valutato l’esposizione di 7000 topi da laboratorio (sacrificati a 106 settimane) a radiazioni corrispondenti all’intensità solo del 2G e 3G; l’altra condotta in Italia dall’Istituto Ramazzini di Bologna che ha usato frequenze più basse (quelle tipiche delle stazioni radio-base) e che si è protratta fino alla morte naturale degli animali. Entrambi gli studi – pur utilizzando frequenze diverse – hanno riscontrato gli stessi risultati: aumento ‘statisticamente rilevante’ del numero dei tumori, in particolare dei rarissimi tumori delle guaine nervose al cervello e al cuore. Alle luce di queste evidenze, sia sperimentali che epidemiologiche, la IARC ha inserito la cancerogenicità delle radiofrequenze fra le priorità da rivalutare e quindi l’attuale classificazione 2B (cancerogeno possibile), non potrà che divenire 2A (cancerogeno probabile) o I (cancerogeno)

Molto di recente poi, secondo uno studio condotto dalla Yale School of Public Health, le radiazioni dei telefoni cellulari sembrano associate a tassi più elevati di cancro alla tiroide tra le persone con variazioni genetiche in geni specifici; i ricercatori hanno esaminato oltre 900 persone in Connecticut e hanno scoperto che i soggetti con determinati polimorfismi a singolo nucleotide (variazioni genetiche comunemente note come SNP) avevano significativamente più probabilità di sviluppare il cancro della tiroide. Gli utenti di telefoni cellulari con SNP in quattro dei geni studiati avevano più del doppio di probabilità di sviluppare il cancro in relazione all’uso del cellulare. I ricercatori hanno esaminato un totale di 176 geni e identificato 10 SNP che sembrano aumentare il rischio di cancro alla tiroide tra gli utenti di telefoni cellulari. Pubblicato sulla rivista Environmental Research, si ritiene che lo studio (17) sia il primo a esaminare l’influenza combinata della suscettibilità genetica e dell’uso del telefono cellulare in relazione al carcinoma tiroideo.


Note bibliografiche

15 Hardell L., Carlberg M., Hansson Mild K., Pooled analysis of case control studies on malignant brain tumors and the use mobile or cordless phone, Inter. Journal of Oncology (2011), 38: 1465-1474. 

16 Cardis E. et al., Brain Tumour Risk in Relation to Mobile Telephone Use: Results of the INTERPHONE International Case-Control Study, Int. J. Epidemiology (2010) Jun; 39 (3): 675-94.

17 Luo J., Deziel N., Huang H., Cell phone use and risk of thyroid cancer: a population-based case–control study in Connecticut, Annals of Epidemiology (January 2019), Volume 29, pages 39-45.